Triennale Milano presenta Carlo Aymonino. Fedeltà al tradimento, da una idea di Livia e Silvia Aymonino e a cura di Manuel Orazi, una grande mostra che ripercorre tutto il percorso progettuale di Aymonino, con la volontà di restituirne l’importanza e la complessità e di far emergere – attraverso materiali d’archivio, progetti, dipinti, testi, fotografie e interviste – non solo l’architetto ma anche l’uomo. 

Carlo Aymonino (1926-2010) è stato uno dei protagonisti dell’architettura italiana, capace di attraversare con tratto originale le diverse fasi della seconda metà del Novecento. L’impegno politico, l’amore per il disegno e la pittura, la vita familiare si intrecciano in modo indissolubile con il suo lavoro di architetto. Roma è stata il luogo centrale per Aymonino ma i suoi progetti lo hanno portato in giro per tutta l’Italia. Si è confrontato con le periferie didiverse città, come testimoniano le sue opere nei quartieri Gallaratese a Milano e Spine Bianche a Matera, per citare gli esempi più celebri. 

Afferma Stefano Boeri, Presidente di Triennale Milano: “Uno degli obiettivi di Triennale è restituire attraverso le proprie mostre e iniziative la grandezza di figure complesse della cultura italiana del progetto, portando all’attenzione nuove chiavi interpretative, superando facili etichette e inquadramenti, a volte anche contribuendo a riscoperte e riletture critiche inedite. Uno sforzo di valorizzazione che ha guidato le grandi monografiche dedicate ai maestri dell’architettura e del design, quali Ettore Sottsass, Mario Bellini, Osvaldo Borsani, Achille Castiglioni, Giancarlo De Carlo, Enzo Mari e Vico Magistretti e che continua oggi con Carlo Aymonino. Questa mostra offre l’opportunità per rivisitare non solo il profilo professionale del progettista, ma anche l’intreccio di vite e passioni dell’uomo. Aymonino è stato in grado di proporre un originale discorso sulla città: la ha studiata, discretizzata, scomposta. Quello di Aymonino, nei suoi progetti e nei suoi testi, è un invito a spostare lo sguardo, da orizzontale a verticale, come ben esemplificato dagli edifici del complesso del Monte Amiata nel quartiere Galleratese di Milano del 1967-1972”.

Lorenza Baroncelli, Direttore artistico di Triennale Milano, dichiara: “Il mondo dell’architettura ha colpevolmente sottovalutato Aymonino. Studiare la sua figura è invece un’opportunità preziosa. In questa mostra proviamo a farlo come sarebbe piaciuto a lui. Non è una normale esposizione di architettura perché il suo talento e la sua fantasia non possono certamente essere imbrigliate in queste categorie. Con la mostra partiamo invece dalla libertà dell’uomo e dell’architetto. Una sfida, irriverente. Forse l’ultima”. 

La mostra intende indagare l’opera diAymonino e i diversi contesti in cui ha vissuto e lavorato, articolandosi in un percorso cronologico. L’attività di Carlo Aymonino attraversa fasi storiche, esperienze e realtà differenti: dall’impegno nella ricostruzione del Dopoguerra al lavoro sulle periferie, dall’insegnamento universitario allo IUAV di Venezia fino all’esperienza come Assessore per gli interventi al Centro storico di Roma, dall’amore giovanile per la pittura al costante esercizio del disegno.

Paradossalmente la centralità di Aymonino nella cultura architettonica italiana ed europea corrisponde a una relativa scarsità di letteratura sulla sua cospicua opera di ricerca, progettazione, didattica e azione politica. La sua posizione all’interno dei contesti in cui si è trovato a operare è sempre stataparadossalmente decentrata, deliberatamente sulla soglia: pittore, ma studente di architettura; modernista, ma portatore di valori premoderni; romano, ma collaboratore di riviste milanesi; progettista di periferie, ma impegnato politicamente nelle battaglie sui centri storici; professore e poi rettore veneziano, ma campione della cosiddetta scuola romana di architettura. 

Intellettuale ricettivo ed estroverso, generoso e perciò inclusivo, Aymonino ha alimentato lo sviluppo di molti testi e contesti architettonici grazie a una leggerezza caratteriale, ma soprattutto alla sua originale funzione di collegamento tra luoghi e persone separati fra loro. Da qui la sua eccentrica centralità. 

Oltre ai suoi progetti, in mostra sono esposti materiali e documenti provenienti dal lato piùintimo e biografico di Aymonino. Il cuore di questa sezione è rappresentato dagli album rossi che per molti anni l’architetto ha disegnato e riempito di aneddoti insieme con la sua famiglia, producendo una opera collettiva dove in controluce si intravedono molti dei fatti e dei protagonisti evocati nel percorso delle città. Altri quaderni e disegni figurativi sonoesposti insieme a una selezione di interviste. 

Forte il legame di Aymonino con alcune città italiane: Roma, Venezia, Milano, Pesaro, Matera, luoghi in cui ha lasciato un segno preciso e inconfondibile. A ogni città corrispondono uno o più centri tematici che chiamano in causa influenze e interlocutori differenti. Queste città vissute possono dunque essere intese come quartieri di una “città interna”, parti di una unica grande città che corrisponde alla composita personalità dell’architetto romano. 

La fedeltà al tradimento, a cui fa riferimento il titolo della mostra, è la paradossale capacità di Carlo Aymonino di confrontarsi con tutte i principali ambiti culturali e politici del secondo Novecento senza mai rimanere ingabbiato in un’unica categoria statica, evolvendo cioè costantemente per piccoli strappi – interpretabili come tradimenti. Questa particolare attitudine è riscontrabile ad esempio nella sua adesione all’Associazione per l’architettura organica (Apao) di Bruno Zevi, conservando al contempo un interesse per il classicismo così come la stessa iscrizione al Pci contrastava con i valori della famiglia d’origine e ancora nella sua collaborazione con la rivista di architettura milanese “Casabella” pur essendo un esponente della scuola romana. Anche per questo è stato considerato romano a Venezia e veneziano a Roma, realizzando però la sua opera più importante (Il Gallaratese) a Milano insieme con Aldo Rossi. Carlo Aymonino ha conservato però un tenace punto fermo tra le contraddizioni inevitabili di una lunga carriera teorica e progettuale svolta al Sud (Matera) come al Centro (Roma, Pesaro) e al Nord: l’esercizio quotidiano del disegno inteso non come pratica artistica ma come forma autonoma di conoscenza, un pensare per figure che ha letteralmente dato forma sia ai suoi progetti urbani sia al suo universo biografico totalmente figurativo.