L’INTERVISTA – Eleonora Privitera: una vita da documentary film maker

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L’INTERVISTA – Eleonora Privitera: una vita da documentary film maker

Eleonora Privitera si trasferisce a New York per intraprendere la carriera di documentary film maker. Ventottenne originaria di Anzio, dopo una formazione accademica in Antropologia Sociale ed un Master di ricerca presso la “London School of Economics and Political Science”, si allontana dal mondo accademico perché troppo autoreferenziale e teorico e decide di iniziare a sperimentare il video come canale espressivo ed artistico. Il punto di svolta arriva a seguito del suo primo corto-documentario “An Imminent Threat” quando capisce che vuole specializzarsi nel cinema documentaristico.

Ci parli della tua avventura a New York?

Mi sono iscritta alla “New York Film Academy” per conseguire il corso di 1° anno in “Documentary Filmmaking”. Da qui è iniziata la mia avventura a New York. Ho prodotto e realizzato un corto-documentario intitolato “It’s Still Me, mom” (Sono ancora io, mamma) che parla delle discriminazioni che una ragazza transgender ha dovuto subire all’interno della sua stessa famiglia. Questo film è in selezione ufficiale del “Tel Aviv International LGBT Film Festival 2020” e del “Out & Loud Pune International Queer Film Festival 2020”. Il mio ultimo documentario è “Rebirth”. 

“Rebirth” che hai appena citato è il film documentario autobiografico che ha vinto il premio d’argento al “San Diego Italian Film Festival” ed è in selezione ufficiale del “DOC NYC”, il festival di documentari più grande degli Stati Uniti. Ci spieghi meglio come e perchè nasce?

Quando ho saputo della malattia di mio padre sapevo che i miei genitori stessero in qualche modo nascondendo il peso di ciò che stesse accadendo nella loro quotidianità. Tuttavia, ho scelto di prendere parte a questa lotta senza fingere che non ce ne fosse alcuna. Consapevole delle difficoltà, non ho potuto far altro che iniziare a filmarli con empatia e delicatezza, entrando nella loro intimità, esplorando le loro paure e speranze e utilizzando l’arte come mezzo di cura ed elaborazione.

Questo film, condiviso con la mia famiglia fin dagli inizi, è divenuto parte del processo di guarigione per tutti noi. Sebbene a livelli differenti, eravamo tutti accumunati da un profondo bisogno di esprimere e condividere ciò che stesse succedendo nelle nostre vite, e nella telecamera ho trovato il canale con cui dare voce e spazio ai miei genitori e a me stessa.

Inoltre, considerando che la malattia è un elemento presente nella vita di molte persone, questo film vuole motivare ad esplorare e condividere le esperienze traumatiche e dolorose vissute nella vita di ognuno di noi quando una malattia o evento sconvolgente subentra. Un invito a non reprimere sentimenti acuti e taglienti, ma accettarli e navigarli.

Di cosa ti occupi attualmente?

Al momento lavoro come regista di documentari indipendenti freelance e, oltre ai miei progetti personali, collaboro con “TV News e Film documentari” in veste di camera operator, videomaker e direttore della fotografia. Insegno Cinematografia e Montaggio alla “New York Film Academy” ed ho iniziato una collaborazione con “Synaptica”, un collettivo internazionale di professionisti impegnati nel creare e sostenere soluzioni socio-ambientali innovative, dove mi occupo della parte del “documentary storytelling”.